Emergent Task Planner™ e GTD®

Emergent Task Planner

Lo sapete, Getting Things Done® è come la Settimana Enigmistica, vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Esaminiamo quindi gli approcci più interessanti, per vedere se possiamo prendere qualche spunto; oggi tocca a The Emergent Task Planner™ di Dsri Seah.

L’Emergent Task Planner (ETP) è un foglio cartaceo per la pianificazione giornaliera che potete scaricare gratuitamente dal sito https://davidseah.com/node/the-emergent-task-planner/.

Utilizzare l’ETP è semplicissimo:

  • Scrivete la data e le ore del giorno nella parte superiore e sinistra del modulo con la vostra penna preferita.
  • Scrivete tre compiti che volete svolgere, anche di più se vi sentite ottimisti!
  • Bloccate il tempo per svolgerli nella griglia del giorno a sinistra.
  • Prendete nota delle interruzioni e dei compiti non pianificati, se necessario.
  • Rivedete alla fine della giornata e date la priorità a ciò che rimane per domani.

Molti degli elementi di ETP sono già contenuti in GTD®.

Ci sono però degli spunti interessanti che vale la pena di prendere in considerazione:

  • Un limite al numero dei compiti che ci impegniamo a completare in una giornata. Questo concetto manca del tutto in GTD® ma è presente negli approcci alla produttività dei team più diffusi, come Lean e Kanban (WiP limit).
  • Una traccia delle interruzioni e dei compiti non pianificati. L’abitudine a imparare dalle circostanze non è codificata in GTD®, ma è presente nella stragrande maggioranza dei metodi di management moderni (miglioramento continuo).

Don’t break the chain e GTD®

Lo sapete, Getting Things Done® è come la Settimana Enigmistica, vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Esaminiamo quindi gli approcci più interessanti, per vedere se possiamo prendere qualche spunto; oggi tocca a Don’t Break the Chain, attribuito al comico Jerry Seinfeld, e per questo chiamato anche Seinfeld Method.
Questo metodo ha come obiettivo impegnarci a portare a termine un’attività giornaliera per un periodo di tempo prolungato. Ogni giorno in cui si completa l’attività si segna una “x” sul calendario. In questo modo si costruisce una catena di “x” che si estende per giorni, settimane o mesi. Questa serie di risultati è sempre più gratificante e dissuade dall’interrompere la catena.
Ecco come implementare il metodo:

  1. Pensate a uno dei vostri obiettivi più importanti (quelli che trovate nell’orizzonte 3 di GTD®, ad esempio “dimagrire 20 chili”)
  2. Individuate un’attività giornaliera a supporto del vostro obiettivo, ad esempio “prendere nota del cibo che mangio” o “fare 10.000 passi”.
  3. Stabilite la lunghezza minima che volete dare alla vostra catena, ad esempio 100 giorni.
  4. Stabilite quali sono le condizioni per INFRANGERE la catena; fare 9.000 passi invece di 10.000 vale lo stesso o no?
  5. Scegliete lo strumento da utilizzare; un calendario su carta andrà benissimo, ma ci sono anche molte app a supporto del metodo.
    In realtà questo metodo non è una vera “alternativa” a GTD®, dal momento che GTD® non pone particolare attenzione alla creazione di abitudini (e questo secondo me è un difetto del metodo). Potete quindi affiancare Don’t Break the Chain al vostro abituale sistema GTD®.

Getting sh-t done

immagine che rappresenta il metodo di produttività Getting Sh-t Done (GSD), che cattura l'essenza della produttività personale e dell'organizzazione.

Getting Things Done® è un po’ come la Settimana Enigmistica; vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Alcuni di questi tentativi sono interessanti, perché in realtà non sono metodi nuovi, ma semplicemente personalizzazioni del metodo “originale”. Prendiamo ad esempio GSD, ovvero Getting sh-t done, descritto nel sito https://www.utilware.com/gsd.html.

GSD è un metodo di produttività personale basato sull’uso di un taccuino, una penna e un segnalibro. Si articola su tre fasi:

  1. Creazione di una Daily List. Una pagina del taccuino è dedicata alla giornata odierna; scriviamo qui tutte le cose che ci vengono in mente è che dovrebbero essere fatte oggi, avendo cura di scriverle in modo che si possano fare davvero. Durante la giornata dovreste consultare almeno 2-3 volte la vostra Daily List e la vostra Backlog List per essere certi di star lavorando sulle attività più importanti.
  2. Esecuzione della Daily List. Scegliamo 3-4 elementi dalla Daily List e li mettiamo in priorità. Una volta eseguiti ne scegliamo altri 3. Vietato eseguire task non in lista; eventuali task nuovi devono essere prima aggiunti alla lista.
  3. Gestione di una Backlog List. Nella backlog List vanno tutti gli elementi che per qualsiasi motivo non sono finiti in Daily List; task con dipendenze, task molto lunghi, task iniziati e non terminati, progetti… La Backlog List deve essere consultata spesso in modo da spostare i task che si rendono disponibili nella Daily List.

Vi piace GSD e avete deciso di implementarlo? Molto bene, in realtà siete già sulla buona strada per applicare GTD®. Infatti:

  • Avete già iniziato a catturare gli input che hanno attirato la vostra attenzione
  • Avete già iniziato a chiarire gli input traducendoli in attività concrete
  • Avete già iniziato ad organizzare in liste i vostri impegni
  • Avete già iniziato a rivedere periodicamente i vostri impegni
  • Avete già iniziato a mettere in priorità i vostri impegni

… ovvero avete già messo in pratica tutti e cinque i passi del Mastering Workflow.

Working memory

Che cos’è la memoria di lavoro? È importante comprendere le caratteristiche della memoria di lavoro per capire in che modo GTD® può aiutarci a ridurre lo stress.

Alcuni psicologi cognitivi usano il termine Working Memory al posto di “memoria a breve termine”. Questo termine pone l’attenzione sulla funzionalità di questa struttura piuttosto che sulla sua persistenza. Altri psicologi introducono una distinzione tra memoria di lavoro e memoria a breve termine; la memoria a breve termine sarebbe responsabile della memorizzazione di informazioni a breve, mentre la memoria di lavoro sarebbe coinvolta sia nell’immagazzinamento che nella manipolazione delle informazioni.

La memoria di lavoro può essere considerata l’equivalente dell’essere mentalmente “connessi”. Si riferisce allo spazio di lavoro temporaneo in cui manipoliamo ed elaboriamo le informazioni.

Non sembra che esista una singola posizione fisica nel cervello responsabile della Working Memory; diverse parti del cervello sembrano infatti dare il loro contributo a questa struttura cognitiva.

La Working Memory è caratterizzata da una capacità ridotta.

I ricercatori ritengono che la memoria di lavoro possa elaborare 3-4 elementi contenenti nuove informazioni alla volta.

Le nuove informazioni nella memoria di lavoro sono temporanee. O vengono codificate nella memoria a lungo termine o decadono o vengono sostituite. A meno che non siano attivamente gestite, le informazioni nella memoria di lavoro hanno una durata breve, di circa 10-15 secondi. Questo è il motivo per cui è indispensabile utilizzare immediatamente i nostri strumenti di cattura per registrare qualsiasi elemento attiri la nostra attenzione.

È necessario uno sforzo mentale per mantenere le informazioni nella memoria di lavoro per un tempo prolungato e questo sforzo può essere causa di un sovraccarico cognitivo. Questo è il motivo per cui ci sentiamo così bene dopo il nostro Mind Sweep® GTD®!

Goalodicy

Un gruppo di alpinisti che scalano il Monte Everest in condizioni difficili, simboleggiando la ricerca di obiettivi pericolosi e irraggiungibili.

Goalodicy è un termine introdotto da Christopher Kayes nel libro “Destructive Goal Pursuit”, e sta a indicare un comportamento contraddittorio per cui un’organizzazione o una persona continua a inseguire un obiettivo impossibile da raggiungere, arrivando a volte ad autodistruggersi.

Per illustrare il concetto Kayes analizza la storia vera di un team di alpinisti che nel 1996 hanno proseguito la scalata verso la vetta dell’Everest senza rispettare le timeline stabilite, perdendo la vita nel tentativo.

Per giustificare un comportamento così irrazionale sono state tentate diverse spiegazioni convenzionali, per poi arrivare alla conclusione che in determinate circostanze un’organizzazione può diventare schiava dei propri obiettivi per motivi legati alla psicologia dei singoli individui che la compongono.

Secondo Kayes ci sono sei sintomi tipici della presenza della Goalodicy:

  1. Obiettivi definiti in modo troppo preciso. Definire gli obiettivi in modo più generico ci consente di fermarci quando proseguire diventa troppo pericoloso.
  2. Aspettative pubbliche. Avere comunicato i nostri obiettivi ad una platea vasta rende più difficile fare marcia indietro.
  3. Desiderio di salvare la faccia. Le persone hanno paura che il fallimento dell’obiettivo distrugga la loro credibilità come persone.
  4. Futuro idealizzato. Il raggiungimento dell’obiettivo sembra un’esperienza molto più bella di quello che sarà in realtà.
  5. Giustificazione basata sull’obiettivo. Qualunque decisione è sempre motivata dalla necessità di raggiungere l’obiettivo ad ogni costo
  6. Raggiungere il proprio destino. Il raggiungimento dell’obiettivo è legato allo scopo ultimo di ciascuna persona.

Curiosità; il termine Goalodicity è costruito a partire dalla parola Teodicea, che è la capacità di spiegare la presenza del male sulla terra assumendo allo stesso tempo la presenza di un creatore buono

Covey – Eisenhower matrix

Matrice Covey - Eisenhower


Oggi parliamo di un pilastro della produttività, la matrice Urgenza / Importanza, detta anche matrice di Eisenhower / Covey. La matrice è stata resa popolare da Stephen Covey nel suo celebre libro “7 habits of Highly Successful People”. Secondo Covey spendiamo il tempo in quattro modi, descritti nella matrice in figura. Nella matrice ogni attività è definita dal fattore urgenza (richiede attenzione immediata) e dal fattore importanza (l’attività contribuisce ai nostri obiettivi chiave).

Quello che rientra nel primo quadrante è sia urgente che importante, e quindi richiede un’attenzione immediata. Chiameremo questo quadrante il quadrante del panico. Per gestire correttamente le attività del primo quadrante è importante distinguere le attività che si sono manifestate improvvisamente (succede, non possiamo farci niente) dalle attività che non si sono manifestate improvvisamente, ma che abbiamo procrastinato per lungo tempo fino a quando non ci sono esplose in mano. Per questo motivo è importante chiedersi sempre (probabilmente durante la Weekly Review®) perché un’attività sia andata a finire in questo quadrante. Ad esempio domani pomeriggio ho una importante presentazione, che in questo momento non ho ancora iniziato a scrivere; la data della presentazione era stata fissata in novembre. Perché? Quali sono i comportamenti che ho adottato e che possono essere migliorati?

Il secondo quadrante contiene le attività importanti ma non urgenti; queste attività ci aiutano a ridurre il numero di attività che andranno a finire nel quadrante 1. Chiameremo questo quadrante il quadrante del Kaizen (!). La preparazione della mia presentazione di domani è rimasta per lungo tempo nel quadrante 2. Il monitoraggio delle attività del quadrante 2 ci consente di evitare lo spostamento delle stesse nel quadrante 1.

Come vedete possiamo integrare in GTD® i quadranti Panic e Kaizen della matrice Covey / Eisenhower semplicemente facendoli diventare dei contesti.

Continuiamo ad analizzare la matrice Eisenhower / Covey. Ho riflettuto ancora sulle attività del quadrante I. Nel suo libro Covey scrive “Alcune persone sono continuamente sballottate e oppresse dai problemi, tutto il giorno e tutti i giorni (…) Perciò, quando andate a guardare il loro modello complessivo, trovate che il 90% del loro tempo è nel quadrante I (…). Questo è il modo in cui le persone che gestiscono le loro esistenze in uno stato di crisi perenne, vivono”.
Covey non tiene in considerazione il fatto che alcune persone gestiscono le attività del quadrante I come parte del loro normale lavoro. Se lavoro in un Service Desk è perfettamente normale che tutti i miei input richiedano un’attenzione immediata e non c’è niente di male in questo. Dovremmo quindi suddividere il quadrante I in due sotto quadranti; un quadrante Ia) che contiene le attività che sono “nate urgenti”, e un quadrante Ib) che contiene le attività che non erano urgenti quando sono state intercettate ma lo sono diventate in seguito perché non le abbiamo gestite in tempo utile. Ovviamente solo le attività del quadrante Ib) possono essere evitate.

Il quadrante 2 della matrice Eisenhower / Covey contiene task importanti (che avranno un impatto in futuro) ma non urgenti (richiedono un’azione immediata). Questo è il quadrante delle azioni che ci miglioreranno la vita in futuro, riducendo il numero delle azioni del quadrante 1. Potrebbe essere utile riservare una parte del tempo della nostra settimana alle azioni del quadrante 2, o anche preparare una lista contesto GTD® dedicata a questa tipologia di azioni. Io sto sperimentando due nuove liste, una lista “Panic” dedicata alle azioni del quadrante 1, e una lista “Kaizen” dedicata alle azioni del quadrante 2.

Il quadrante 3 della matrice Eisenhower / Covey contiene task non importanti ma urgenti, mentre il quadrante 4 contiene task non importanti e non urgenti. Covey utilizza parole forti per dissuaderci dall’eseguire task presenti in questo quadrante (“le persone che trascorrono la maggior parte del loro tempo nei quadranti 3 e 4 conducono vite di fatto irresponsabili”), ma secondo me non ha sempre ragione, e vi spiego perché. Prendiamo il quadrante 3, il quadrante delle priorità imposte dagli altri. Può essere che un vostro cliente vi interrompa improvvisamente per farvi una domanda irrilevante a cui potrebbe aver trovato risposta da solo (urgente, non importante). Forse abbiamo perso tempo… o forse no, perché magari in futuro il cliente riconoscente ci affiderà un lavoro importante. In genere la distinzione tra cosa è importante e cosa non lo è si scopre solo a posteriori!

Possiamo fare un ragionamento simile per il quadrante 4, quello delle attività non importanti e non urgenti… i nostri passatempi. Siamo proprio sicuri che un’attività che oggi è apparentemente inutile non troverà il modo di generare valore nel futuro?

In sintesi; attenzione a non usare la matrice in modo troppo rigido.

Attenzione residua; cos’è e come combatterla

Illustrazione che rappresenti il concetto di attenzione residua, descritto nel post. Questa immagine rappresenta visivamente il fenomeno e il suo impatto su un individuo in un ambiente di lavoro.

Attention Residue (ovvero Attenzione Residua) è un fenomeno psicologico portato recentemente all’attenzione generale da Sophie Leroy, Associate Professor dell’università di Washington.

Di che cosa si tratta? È ciò che si verifica nella nostra mente quando lasciamo dei task incompiuti, quando veniamo interrotti durante l’esecuzione di un task o anche quando prevediamo che, una volta che avremo la possibilità di svolgere il lavoro incompiuto o in sospeso, saremo costretti ad affrettarci a portarlo a termine. Il nostro cervello fatica a lasciar perdere questi compiti e li mantiene attivi nel retro della nostra mente, anche quando cerchiamo di concentrarci e di svolgere altre attività.

L’importanza di questo fenomeno risulta evidente quando pensiamo alla frequenza delle interruzioni nel nostro lavoro di tutti i giorni; la stessa Sophie Leroy ha calcolato una media di 10 interruzioni al giorno, con un 15% di persone che segnala oltre 20 interruzioni al giorno. Un’altra ricerca nei settori IT e Healthcare ci dice che le interruzioni arrivano ogni 6-12 minuti. Il fenomeno dell’attenzione residua fa sì che le nostre capacità cognitive siano suddivise ogni volta tra il task che stavamo completando e l’interruzione, con un aumento dei tempi, dello stress e degli errori. L’intensità del fenomeno aumenta all’aumentare della fretta di chiudere il task che è stato interrotto. È stato però dimostrato che se prima di interrompere il task a cui stavano lavorando le persone hanno la possibilità di scrivere un piano per riprendere il lavoro dopo l’interruzione (basta un minuto) l’intensità del fenomeno diminuisce notevolmente.

L’abitudine a tenere delle lunghe liste To-Do sembra invece aumentare il fenomeno dell’attenzione residua, a causa della pressione generata dal fatto di sapere che abbiamo tante cose in sospeso.

Recuperate almeno 60′ al giorno smettendo di leggere le notizie

una persona visibilmente stressata mentre guarda notizie angoscianti in TV.

Sette mesi fa, approfittando del week-end del primo maggio, ho letto e messo in pratica le indicazioni di un libro il cui titolo mi ha affascinato subito; Stop Reading the News, di Rolf Dobelli. È stata una delle migliori decisioni del 2023.

Il messaggio del libro è semplice; smettete di consumare notizie in qualsiasi formato (Web, radio, TV, ecc…). Ecco alcuni degli effetti negativi delle notizie trattati nel libro:

  • alterano la nostra percezione del rischio
  • aumentano le nostre distorsioni cognitive, come l’Hindsight Bias e l’Availability bias
  • generano ansia, con effetti negativi sul nostro corpo
  • stimolano la generazione di opinioni non necessarie anche su argomenti per i quali non abbiamo competenze

A parte questo la lettura delle notizie ci fa perdere tempo, il che è importante per la nostra organizzazione personale. Il libro stima la perdita di tempo in circa 60 – 90 minuti al giorno. Per una sintesi degli argomenti trattati nel libro potete leggere l’articolo originale di Dobelli sul tema qui.

Chiarire la mappa per chiarire

La mappa per chiarire di Getting Things Done® mi è sembrata – a prima vista – geniale. Dopo averla spiegata a 1.500 persone, e avere visto le loro 1.500 espressioni, mi sono venuti alcuni dubbi.
Dubbio 1; buttare un input nel cestino è un’azione, e richiede meno di due minuti. Dunque buttare un input nel cestino è un’azione e questo elemento della mappa è un doppione.
Dubbio 2; archiviare un input è un’azione, che potrebbe richiedere meno di due minuti. Anche in questo caso abbiamo un doppione.
Dubbio 3; se un input non mi è chiaro come faccio a decidere se richiede un’azione o meno?

Probabilmente possiamo semplificare il tutto, e dire che:

  • esistono input su cui non intendo posare la mia attenzione, e che semplicemente non considero.
  • una volta che ho deciso di prendere in considerazione un input lo metto in una o più pile di elementi da considerare (ToDo)
  • gli elementi da considerare sono di tipi diversi, e la loro elaborazione dipende dalla loro natura. Prendere in considerazione una email è cosa diversa dal leggere un libro, o dallo scrivere un post su Facebook. Nel caso più semplice l’elaborazione attraversa i tre stati “da fare / lo sto facendo / ho finito”

Insomma… invece della mappa per chiarire, o del metodo CODE, o di qualsiasi altro workflow potremmo semplicemente utilizzare una o più Kanban, destinate a tracciare tutti i tipi di “lavoro” che ci interessa tenere sotto controllo. Ci rifletto e vi faccio sapere.

Utilizza un timer per le prossime azioni

Computer screen with a timer

Ti capita mai di concludere la tua giornata avendo la sensazione di non aver combinato nulla di buono? Le tue liste ti generano frustrazione? Prova a utilizzare un timer per avere maggiore consapevolezza della durata delle tue azioni. Funziona così:

  1. Diventa consapevole del fatto che stai per dedicarti alle tue prossime azioni per x minuti (diciamo 15 minuti, per semplicità). Mike Williams chiama questa esperienza “in”, ovvero sto per entrare in un blocco di lavoro.
  2. Attiva il timer per 15 minuti e dedicati alle tue prossime azioni iniziando da quella che avrà il maggiore impatto una volta completata. Mike Williams chiama questa esperienza “Work Beat”, battito di lavoro.
  3. Al termine dei 15 minuti riconosci il lavoro che hai completato e non criticarti per il lavoro che non hai completato. Mike Williams chiama questa esperienza “Win”, vittoria.

Al termine dei passi 1, 2 e 3 se hai voglia e tempo ricomincia da capo.