Getting Things Done prima di David Allen

Copertina del libro Getting Things Done di Edwin C. Bliss

Chi mi segue da un po’ di tempo sa che ho pubblicato parecchi post in cui ho fatto notare come GTD® sia stato oggetto di innumerevoli tentativi di imitazione, come la Settimana Enigmistica. Approfondendo ho scoperto che anche David Allen si è “ispirato” a fonti precedenti. Guardate l’immagine aggiunta al post; si tratta del libro “Getting Things Done: The ABCs of Time Management” di Edwin C. Bliss, pubblicato per la prima volta nel 1976, e nuovamente nel 1991. Praticamente un quarto di secolo prima di GTD®. Il libro, che potete consultare gratuitamente nell’Internet Archive, https://archive.org , contiene un lungo elenco di trucchi di produttività in ordine alfabetico. Ad esempio questo: “Una scrivania disordinata è una perdita di tempo. Si può perdere tempo a cercare un file importante o a gestire la posta ‘spazzatura’ che avrebbe dovuto essere riciclata. È una distrazione di oggetti diversi che si trovano alla vista e che compromettono il filo dei pensieri. Ci si può concentrare solo su una cosa alla volta: avere sei file urgenti aperti contemporaneamente fa sì che non si presti la massima attenzione a nessuno di essi! Prendetevi 5 minuti alla fine della giornata per liberare la scrivania, mettere via i file e riciclare la posta indesiderata del giorno.”
Niente di nuovo sotto il sole…

Intention journal e GTD®

Il journaling è una tecnica potente, menzionata anche da David Allen. Leggete cosa scrive sulla home page di GTD® Connect, la community degli utenti del metodo (la traduzione è mia); “Da qui nasce questo Diario delle intenzioni. È il luogo in cui potete catturare le vostre immagini di successo e i fattori scatenanti che migliorano la prospettiva e farveli rivivere, ogni volta che lo desiderate. Possono spaziare dal banale (“avere il nuovo assunto a bordo e sul cruise control”) al sublime (“sperimentare la libertà di vivere in accordo con i miei valori più alti”) – è il vostro gioco da giocare come volete.

Tagliate e incollate le citazioni ispiratrici per vederle ogni quattro o quarantasette giorni. Attivate una nota tre giorni prima di un discorso chiave per ricordarvi di immaginare un evento di grande successo. Stabilite alcuni obiettivi e ricordateli a intervalli interessanti. Scrivete un paragrafo su ciò che sperate sia vero nel vostro lavoro entro la fine dell’anno, mettetelo nel diario e a Capodanno leggete quanto bene lo avete programmato (anche se vi siete dimenticati di averlo fatto!).”

Ta-Da List

Illustra il concetto di una lista-Ta-Da che mostra una persona che si trova di fronte a una grande lavagna colorata piena di segni di spunta e stelle e completata.

No, non ho sbagliato a scrivere…

Le Ta-Da List sono liste in cui scriviamo le cose che abbiamo completato durante la giornata, invece di scrivere le cose che dobbiamo ancora fare (To-Do List). Perché dovremmo fare una cosa del genere? La risposta è semplice; perché tendiamo a dimenticare tutte le cose che abbiamo portato a termine durante la giornata. Sono sicuro che siete perfettamente in grado di elencare tutte le cose che dovete fare; lo so perché è un esercizio che facciamo durante i corsi DTD® e GTD®, e i partecipanti in pochi minuti elencano 20-30 task ricavandoli dalla loro memoria. Sono abbastanza sicuro, però, che non siete in grado di elencare facilmente i task che avete portato a termine oggi, o ieri, o lunedì scorso. Questo è un peccato, perché tendiamo a dimenticare gli obiettivi che abbiamo raggiunto. Io non uso vere e proprie liste Ta-Da, ma ottengo lo stesso beneficio utilizzando il mio Bullet Journal; mi basta rileggere le pagine delle scorse giornate per scoprire come ho utilizzato il mio tempo.

Il metodo OHIO

Immagine che illustra il concetto di "Only Handle It ", applicato in modo specifico alla gestione delle e-mail.

OHIO sta per Only Handle It Once, gestisci le cose una volta sola. Il Metodo OHIO trae le sue origini dalla filosofia di gestione del tempo sviluppata dai primi pionieri come Ivy Lee e Alan Lakein, di cui vi ho parlato in un post dell’estate scorsa.

Ecco i passi del metodo:

Raccogliere: Raccogliere tutti i compiti, le e-mail, i documenti o altri input in arrivo in un’unica posizione, come un elenco di cose da fare o la casella di posta.

Valutare: Dare una priorità agli elementi in base all’urgenza, all’importanza o ad altri criteri pertinenti. Valutare l’importanza di ogni elemento per determinare l’azione appropriata necessaria.

Agire: Agire immediatamente su ogni voce, completandola, delegandola, programmandola per un secondo momento o scartandola se non è necessaria.

Organizzare: Archiviare o classificare in modo appropriato gli elementi completati o delegati per facilitarne il reperimento e la consultazione.

Rivedere: Rivedere regolarmente l’elenco dei compiti, la casella di posta o il sistema di archiviazione per assicurarsi che nulla venga trascurato o lasciato incustodito.

Vi ricorda nulla? Siamo almeno venti anni prima di #GTD

Che cos’è un habit?

Immagine astratta che rappresenta il concetto di abitudine. L'immagine illustra l'idea di cicli ripetitivi e la dualità delle abitudini, con texture e colori che simboleggiano le abitudini positive e negative.

Quanto tempo serve per creare un habit? E soprattutto che cosa intendiamo per habit?

Ho letto qualche tempo fa nella newsletter di Andrea Giuliodori questo testo e mi sono incuriosito:

“…quando si parla di abitudini i para-guru danno i numeri!

– “Per formare un’abitudine servono 21 giorni!”.

“No, ne servono 30”.

– “No, 66 è il numero magico”.

– “Macché, minimo 90 giorni!”.

Facciamo chiarezza.

Quelle sui 21 e 30 giorni sono fondamentalmente delle bufale.

In uno degli studi scientifici più seri condotto su questo tema è emerso che in media servono 66 giorni per formare una nuova abitudine e dopo 90 giorni di ripetizione continua qualsiasi abitudine tende a diventare permanente.”

Ormai ho imparato a non fidarmi di nessuno, per cui ho acquistato lo studio scientifico serio referenziato da Giuliodori e me lo sono letto, trovando che Andrea ha detto una quasi verità (i 66 giorni) e una bugia (dopo 90 giorni di ripetizione continua qualsiasi abitudine tende a diventare permanente). In realtà lo studio ha avuto una durata di 84 giorni, e nessun habit è diventato permanente per il 100% dei soggetti coinvolti (mediamente solo il 40% delle persone ha avuto successo).

A parte questi dettagli, però, ho scoperto una cosa interessante; cosa si debba intendere per habit. Un habit è un’associazione efficiente, inconsapevole, involontaria e incontrollabile tra uno stimolo e un’azione. In pratica vedo un cioccolatino abbandonato e lo mangio senza neanche accorgermene. In genere nel contesto dell’organizzazione personale desideriamo sostituire un habit in contrasto con i nostri obiettivi con un habit favorevole.

P.S. Sempre secondo Giuliodori un para-guru è “è un modo scherzoso per indicare quei guru, coach e formatori che spesso invece di formare i propri allievi, tendono a deformare la realtà per un proprio tornaconto personale.”

Algebra prudenziale

Il glossario del PMBoK® definisce il [[decision making]] come “il processo di selezione di una linea d’azione tra più opzioni”. Uno dei primi processi di decision-making (testa o croce escluso) è l’algebra morale o algebra prudenziale di Benjamin Franklin. Il processo è stato descritto dallo stesso Franklin in una lettera da lui inviata il 19 settembre 1772 al chimico Joseph Priestley, che gli chiedeva un consiglio prima di prendere un’importante decisione. Benjamin Franklin non si limitò al consiglio, ma fornì a Priestley un processo decisionale, che vi riporto di seguito (la traduzione è mia).

“Il mio metodo consiste nel dividere mezzo foglio di carta in due colonne, scrivendo su una il pro e sull’altra il contro. Poi, durante tre o quattro giorni di riflessione, annoto sotto le diverse voci brevi accenni ai diversi motivi che in momenti diversi mi vengono in mente a favore o contro la misura. Quando li ho riuniti tutti in un’unica visione, cerco di stimare il loro peso rispettivo; e se ne trovo due, uno per parte, che sembrano uguali, li elimino entrambi: se trovo un motivo pro uguale a due motivi contro, elimino i tre. Se giudico due ragioni contro uguali a tre ragioni pro, tolgo le cinque; e così procedendo trovo alla fine dove si trova l’equilibrio; e se dopo un giorno o due di ulteriore considerazione non si presenta nulla di nuovo di importante da una parte o dall’altra, arrivo a una decisione di conseguenza. Anche se il peso delle ragioni non può essere considerato con la precisione delle grandezze algebriche, tuttavia quando ognuna di esse viene considerata separatamente e in modo comparativo, e l’insieme si trova davanti a me, penso di poter giudicare meglio e di essere meno propenso a fare un passo avventato; e in effetti ho trovato grandi vantaggi da questo tipo di equazione, in quella che può essere chiamata algebra morale o prudenziale.”

Lo stesso processo è stato adottato da Charles Darwin parecchi anni più tardi al momento di decidere se sposarsi o meno.

Oggi la tecnica di Franklin è nota con il nome di T-chart, e potreste anche trovarla citata in un esame PMP® o CBAP®.

Tre tipi di decisioni secondo james clear

immagine minimalista che rappresenta le tre metafore sulle decisioni descritte da James Clear: i cappelli, i tagli di capelli e i tatuaggi. Ogni sezione dell'immagine simboleggia uno dei concetti, utilizzando un design semplice ed efficace.

Secondo james clear, l’autore di Atomic Habits, esistono tre metafore per le decisioni; ci sono decisioni come i cappelli, come i tagli di capelli e come i tatuaggi.
La maggior parte delle decisioni sono come i cappelli. Ne provi uno e se non ti piace, lo rimetti a posto e ne provi un altro. Il costo di un eventuale errore è basso, quindi è possibile muoversi rapidamente e provare diversi cappelli.
Alcune decisioni sono come tagli di capelli. È possibile rimediare a un taglio sbagliato, ma serve del tempo per farlo, e potremmo sentirci sciocchi per un po’. Detto questo, non dovremmo farci spaventare da un brutto taglio di capelli (io non ho questo problema, come si vede dalla mia foto sul profilo). Provare qualcosa di nuovo di solito è un rischio che vale la pena correre. Se non funziona, l’anno prossimo a quest’ora saremo già passati oltre e così pure tutti gli altri.
Alcune decisioni, invece, sono come i tatuaggi. Una volta prese, bisogna conviverci. Alcuni errori sono irreversibili. Forse per un momento riusciremo ad andare avanti, ma poi ci guarderemo allo specchio e ci ricorderemo ancora di quella scelta. Anche a distanza di anni, la decisione lascia un segno. Quando dobbiamo affrontare una scelta irreversibile, è meglio muoversi lentamente e riflettere attentamente.

Gratitude List

Al centro vi è una lista scritta a mano su carta dall'aspetto invecchiato, posata su un tavolo di legno rustico. Il tavolo è decorato con un piccolo vaso di fiori freschi, una candela accesa che diffonde una luce calda e accogliente, e forse una tazza di tè o caffè, suggerendo un momento di riflessione e apprezzamento. Lo sfondo potrebbe mostrare una stanza delicatamente illuminata o un ambiente esterno, con la luce solare che filtra dolcemente. Questa scena unisce elementi di consapevolezza, calore e gratitudine, creando una rappresentazione visiva della pratica di riconoscere e apprezzare le cose buone della vita.

La compilazione di una “Gratitude List” è una delle pratiche più diffuse tra gli appassionati di efficacia personale. Alcune persone trovano questa pratica estremamente efficace, altri (a volte anche io, vi confesso) la trovano un semplice esercizio intellettuale, senza impatto emotivo.

Sul blog The Empowerment Dynamic ho trovato la descrizione di un nuovo modo per creare una “Gratitude List” che può aiutarci a risolvere il problema. Eccolo di seguito:

  1. Fermatevi un attimo e fate alcuni respiri profondi. Ora create un elenco di persone, cose e circostanze per le quali siete grati. Apprezzate pienamente la loro presenza nella vostra vita.
  2. Immaginate che tutto ciò che avete appena inserito nel vostro elenco di gratitudine sia improvvisamente scomparso. Immaginatevi senza le persone e le situazioni per le quali avete ringraziato solo un momento prima. Rimanete seduti con questa nuova esperienza per alcuni minuti e percepite la perdita emotiva. Ora scrivete alcune frasi o parole su come sarebbe la vostra vita senza ciò che avete inserito nell’elenco della gratitudine.

Secondo gli autori questo nuovo approccio può portarci più facilmente in uno “stato di gratitudine”, un’esperienza in grado di coinvolgere sia la nostra mente che le nostre emozioni. Fatemi sapere cosa ne pensate!

Paper anchor e GTD®

L'immagine inizia con un mattino sereno, dove annoti le tue 5 azioni principali per la giornata su un pezzo di carta che rimane ben visibile accanto a te. Al termine della giornata, il pezzo di carta viene appallottolato e gettato via, pronti per iniziare di nuovo il giorno successivo.

Quando si inizia ad applicare GTD® è inevitabile riempire le liste prossime azioni di cose che non saranno mai portate a termine. Ricordo un partecipante a una mia sessione di coaching che aveva una lunghissima lista prossime azioni e aveva deciso di marcare con un asterisco le azioni che considerava urgenti. Purtroppo erano tantissime anche quelle, per cui a un certo punto decise di mettere due asterischi alle azioni “molto urgenti”, per poi dover mettere tre asterischi alle azioni “urgentissime”.

La soluzione definitiva a questo problema è imparare a valutare in maniera oggettiva durante la Weekly Review® quello che riusciremo davvero a fare durante la settimana; nel frattempo puoi provare un rapido sollievo utilizzando la tecnica Paper Anchor (ancora di carta), proposta tra gli altri da Juliet Funt . Applicarla è semplicissimo; al mattino scrivi su un pezzo di carta le 5 azioni che ritieni più importanti per la giornata, e tieni il pezzo di carta bene in vista accanto a te per tutta la giornata. Arrivato a sera appallottola il pezzo di carta e buttalo via, anche se non hai completato le azioni; domattina ne scriverai uno nuovo. Fammi sapere se per te ha funzionato!

Chi sono davvero i Knowledge Worker?

immagine minimalista che illustra il concetto di Knowledge Work, rappresentando l'integrazione tra processi cognitivi e tecnologia in un ambiente lavorativo moderno.

David Allen, Tiago Forte, Cal Newport e molti altri autori di libri sulla produttività individuale giustificano lo sviluppo dei loro metodi con la diffusione del Knowledge Work e, di conseguenza, con il fatto che ci siamo trasformati in Knowledge Worker. Come ricordate abbiamo definito il termine Knowledge (conoscenza) come la capacità dell’individuo di affrontare specifiche situazioni (know-how), e di conseguenza un Knowledge Work è un lavoro in cui la conoscenza è importante, e un Knowledge Worker è un lavoratore che svolge Knowledge Work. Leggendo il libro “L’ottava regola” di Stephen Covey ho trovato una scomoda verità; noi non siamo Knowledge Worker “a prescindere”, ma lo siamo soltanto se la nostra azienda ritiene importante la nostra specifica, unica conoscenza. Mi è capitato, ad esempio, di sentir definire un gruppo di tecnici IT “Smart Hands Team”; in pratica lo scopo del lavoro di queste persone è quello di compiere le poche operazioni manuali che non si è riusciti ancora ad automatizzare e a compiere da remoto. In questi casi l’azienda cerca delle abilità, non della conoscenza, e non possiamo parlare di Knowledge Worker anche se le persone si occupano di tecnologia dell’informazione.