Algebra prudenziale

Il glossario del PMBoK® definisce il [[decision making]] come “il processo di selezione di una linea d’azione tra più opzioni”. Uno dei primi processi di decision-making (testa o croce escluso) è l’algebra morale o algebra prudenziale di Benjamin Franklin. Il processo è stato descritto dallo stesso Franklin in una lettera da lui inviata il 19 settembre 1772 al chimico Joseph Priestley, che gli chiedeva un consiglio prima di prendere un’importante decisione. Benjamin Franklin non si limitò al consiglio, ma fornì a Priestley un processo decisionale, che vi riporto di seguito (la traduzione è mia).

“Il mio metodo consiste nel dividere mezzo foglio di carta in due colonne, scrivendo su una il pro e sull’altra il contro. Poi, durante tre o quattro giorni di riflessione, annoto sotto le diverse voci brevi accenni ai diversi motivi che in momenti diversi mi vengono in mente a favore o contro la misura. Quando li ho riuniti tutti in un’unica visione, cerco di stimare il loro peso rispettivo; e se ne trovo due, uno per parte, che sembrano uguali, li elimino entrambi: se trovo un motivo pro uguale a due motivi contro, elimino i tre. Se giudico due ragioni contro uguali a tre ragioni pro, tolgo le cinque; e così procedendo trovo alla fine dove si trova l’equilibrio; e se dopo un giorno o due di ulteriore considerazione non si presenta nulla di nuovo di importante da una parte o dall’altra, arrivo a una decisione di conseguenza. Anche se il peso delle ragioni non può essere considerato con la precisione delle grandezze algebriche, tuttavia quando ognuna di esse viene considerata separatamente e in modo comparativo, e l’insieme si trova davanti a me, penso di poter giudicare meglio e di essere meno propenso a fare un passo avventato; e in effetti ho trovato grandi vantaggi da questo tipo di equazione, in quella che può essere chiamata algebra morale o prudenziale.”

Lo stesso processo è stato adottato da Charles Darwin parecchi anni più tardi al momento di decidere se sposarsi o meno.

Oggi la tecnica di Franklin è nota con il nome di T-chart, e potreste anche trovarla citata in un esame PMP® o CBAP®.

Tre tipi di decisioni secondo james clear

immagine minimalista che rappresenta le tre metafore sulle decisioni descritte da James Clear: i cappelli, i tagli di capelli e i tatuaggi. Ogni sezione dell'immagine simboleggia uno dei concetti, utilizzando un design semplice ed efficace.

Secondo james clear, l’autore di Atomic Habits, esistono tre metafore per le decisioni; ci sono decisioni come i cappelli, come i tagli di capelli e come i tatuaggi.
La maggior parte delle decisioni sono come i cappelli. Ne provi uno e se non ti piace, lo rimetti a posto e ne provi un altro. Il costo di un eventuale errore è basso, quindi è possibile muoversi rapidamente e provare diversi cappelli.
Alcune decisioni sono come tagli di capelli. È possibile rimediare a un taglio sbagliato, ma serve del tempo per farlo, e potremmo sentirci sciocchi per un po’. Detto questo, non dovremmo farci spaventare da un brutto taglio di capelli (io non ho questo problema, come si vede dalla mia foto sul profilo). Provare qualcosa di nuovo di solito è un rischio che vale la pena correre. Se non funziona, l’anno prossimo a quest’ora saremo già passati oltre e così pure tutti gli altri.
Alcune decisioni, invece, sono come i tatuaggi. Una volta prese, bisogna conviverci. Alcuni errori sono irreversibili. Forse per un momento riusciremo ad andare avanti, ma poi ci guarderemo allo specchio e ci ricorderemo ancora di quella scelta. Anche a distanza di anni, la decisione lascia un segno. Quando dobbiamo affrontare una scelta irreversibile, è meglio muoversi lentamente e riflettere attentamente.

35.000 decisioni al giorno? Tutte balle.

immagine minimalista che illustra l'avventura descritta nel mondo delle bufale pseudo-scientifiche. L'immagine simboleggia la ricerca della verità attraverso diverse fonti e la sfida di navigare tra affermazioni non supportate da solide ricerche scientifiche.

Vi racconto la mia avventura di oggi nel mondo delle bufale pseudo scientifiche. L’argomento è affascinante; questo articolo su Medium dice testualmente “La vita è solo una concatenazione di scelte. Si decide 35.000 volte al giorno.” E c’è anche link a una pubblicazione scientifica, quindi è una cosa seria!

Andiamo a vedere la seria pubblicazione scientifica. La seria pubblicazione scientifica dice che “It is estimated that an American adult makes 35,000 decisions a day (Sollisch 2016).”. Allora è vero! Fammi andare a vedere chi è Sollisch e cosa diceva nel 2016. Un click, e appare questo riferimento; “Sollisch J. The cure for decision fatigue. Wall Street Journal 2016” . Bene, fammi verificare l’articolo del WSJ.

In alto campeggia la scritta “OPINION”, che non sembra indicare una seria ricerca scientifica. Infatti nell’articolo trovo scritto “By some estimates, the average American adult makes 35,000 decisions a day.”. Fine della ricerca. Un tal Jim Sollisch, art director in un’agenzia pubblicitaria, dice che qualcuno stima qualcosa e tutti ci credono. Inclusa la National Library of Medicine, un sito ufficiale del governo degli Stati Uniti. Andiamo proprio bene…

Decision fatigue? Non esiste.

L'immagine rappresenta il concetto di stanchezza decisionale, mostrando una persona a un bivio, circondata da segnali che indicano diverse scelte di vita, e sembrando sopraffatta e stanchi.

Scrive Andrea Giuliodori nel suo libro Riconquista il tuo tempo: “Siamo tutti soggetti a quella che viene definita “decision fatigue“. La decision fatigue, che potremmo tradurre letteralmente con l’espressione “fatica decisionale“, è un concetto ben noto in psicologia e indica la tendenza della mente umana a prendere decisioni sempre peggiori all’aumentare del numero delle stesse. In altre parole, esiste un legame tra decisioni e forza di volontà: più scelte facciamo e più il nostro autocontrollo si deteriora.” Del resto Steve Jobs vestiva sempre allo stesso modo per conservare una decisione per cose più importanti, giusto? Sbagliato. La decision fatigue è stata introdotta dal prof. Roy F. Baumeister in una pubblicazione del 1998, ma i risultati di quello studio (e di studi successivi) sono stati confutati da una rigorosa meta-analisi di 116 esperimenti. Potete trovare la meta-analisi qui https://psycnet.apa.org/manuscript/2015-26263-001.pdf
Com’è possibile che tanti studi (e Andrea Giuliodori) si facciano fregare così facilmente? Potrebbe essere l’effetto del cosiddetto publication bias, ovvero del fatto che è più facile pubblicare studi a sostegno di fenomeni interessanti rispetto a quelli che offrono risultati inconcludenti o negativi.