Un modo diverso di gestire le liste

Anche Carl Pullein, in passato fan sfegatato di GTD® (è la persona che mi ha fatto conoscere il metodo) ha abbandonato le liste basate sui contesti. Nel suo nuovo Time Sector Method i task sono organizzati basandosi sulla data di scadenza:

  • – task della settimana in corso (che poi giornalmente vengono spostati sul calendario)
  • – task della prossima settimana
  • – task del mese in corso
  • – task del prossimo mese
  • – task di lungo periodo

Mi ha colpito il fatto che si tratta pressappoco dello stesso sistema utilizzato nel metodo Bullet Journal, che sto applicando con successo da poco più di un anno. Nel Bullet Journal abbiamo infatti:

  • – Diario del futuro
  • – Diario del mese
  • – Diario giornaliero

che implementano più o meno lo stesso descritto da Pullein.

Pullein ha abolito nel suo sistema il concetto di progetto, trovandolo inutile. Nel libro “Il Metodo Bullet Journal” Ryder Carroll suggerisce invece di trattare i progetti esattamente come i task, suddividendoli poi in task più piccoli in ogni mese / settimana / giorno.

Il metodo Strikethrough

Immaginate una scrivania ben organizzata, dove una penna tradizionale e un pezzo di carta sono al centro dell'attenzione.

Il metodo Strikethrough non è un vero e proprio sistema di produttività individuale, ma un sistema per la cattura proposto da Mike Vardy e simile per certi versi al Rapid listing del metodo Bullet Journal. L’autore parla di “gateway verso altri metodi”. Il metodo Strikethrough prevede l’uso di carta e penna il seguente processo a quattro passi:

1. Idee e task sono registrati su carta

2. Gli elementi completati sono barrati (strikethrough)

3. Gli elementi che non possono essere gestiti subito sono trasferiti su un sistema di task management o note taking. Gli elementi trasferiti sono marcati con una freccia.

4. Un elemento non marcato in alcun modo deve ancora essere processato.

È possibile aggiungere dei contesti a ciascun elemento.Ad esempio Mike Vardy dichiara di utilizzare dei contesti basati sull’energia disponibile (High / Normal / Low / Errand) e sulle aree di responsabilità (Professionale, Personale, Generale). I contesti sono registrati su carta insieme alle idee e ai task utilizzando un codice colore per le aree di responsabilità e le iniziali H/N/L/E per i livelli di energia. Sono d’accordo con l’autore del metodo quando dice che durante la fase di cattura è importante registrare in modo rapido e semplice quante più informazioni di contesto possibile, e che la carta è lo strumento ideale per questa attività.

Esperimenti di produttività individuale

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Esattamente un anno fa ho iniziato a utilizzare il metodo Bullet Journal come supporto alla mia applicazione del metodo GTD®. Insieme a GTD® e Bullet Journal ho studiato e sperimentato tecniche ed approcci provenienti da altri autori; Personal Kanban, di Jim Benson e Tonianne DeMaria Barry, DTD di Mike Williams e PARA di Tiago Forte, ma anche Francesco Cirillo con la sua Pomodoro Technique, Nir Eyal con il suo Indistractable., e tanti altri. In una nuova serie di post vi racconterò che cosa ne è uscito fuori.

Aree di responsabilità

Livello 2 degli orizzonti di attenzione GTD®, oggi lo uso molto meno. Secondo me le aree di responsabilità servono solo a verificare quanto tempo dedichiamo a ciascuna delle “fette” della nostra vita; senza farla tanto complicata tengo sotto controllo tre “fette” denominate Io, Famiglia e Lavoro, e verifico quanto tempo dedico ogni settimana a ciascuna fetta.

Calendario

L’uso che faccio del calendario è rimasto sostanzialmente inalterato. Uso Google Calendar, sincronizzato con iCal e con Todoist, per la gestione dei miei impegni quotidiani. Le persone che vogliono prendere un appuntamento direttamente sul mio calendario possono farlo utilizzando Calendly. Non uso appuntamenti a giornata intera. Applico le tecniche del Timeboxing e del Timeblocking, insieme alla Pomodoro technique (vedi più avanti).

Chiarire

Secondo passo del workflow GTD®, fino a un anno fa lo consideravo fondamentale, oggi non lo applico praticamente più. Consiste nel trasformare ciò che è stato intercettato (vedi) in modo da ricondurlo a sei categorie fondamentali; cestino, riferimento, incubazione, azione delegata, progetto, prossima azione. Oggi ciò che è stato intercettato resta nel mio diario giornaliero sul mio Bullet Journal (vedi) e viene eventualmente migrato in seguito (vedi) in un’altra pagina.

Liste 

In GTD® esistono quattro liste fondamentali (Progetti, Prossime Azioni, In attesa, Calendario) e due liste opzionali (Agenda e Un giorno / Può darsi). Un anno fa avevo tutte le liste su Todoist (vedi), oggi non ho più le liste GTD®, ma una sequenza di Diari Giornalieri (vedi) in cui registro azioni, note, stati d’animo ed eventi.  

Pomodoro Technique

Come sapete questa tecnica consiste nell’alternare intervalli di lavoro concentrato della durata di 25’ con pause della durata di 5’. Ogni quattro pomodori da 25’ faccio una pausa lunga di 20. Utilizzo come app a supporto di Pomodoro BeFocused, che sincronizza i miei dati su Mac, iPhone e Apple Watch. Di BeFocused trovo indispensabile il ticchettio dell’app che simula quello del pomodoro da cucina, e mi ricorda che non devo distrarmi. Sono anche molto utili i report del tempo che ho impiegato per svolgere una certa attività e che mi consentono di stimare la durata del mio lavoro con buona precisione. Il concetto di Workbeat in Doing To Done è molto simile (vedi).

Progetti

In GTD® un progetto è un risultato costituito da più passi che può essere raggiunto al massimo entro un anno.

La lista progetti è una delle liste fondamentali di GTD®; oggi come oggi la uso molto meno di una volta. Questo perché applico un suggerimento di Tiago Forte; un progetto è veramente tale se ha una data di scadenza fissa, altrimenti non è un progetto (secondo Tiago Forte è un sogno, non sono d’accordo). Il materiale relativo ai progetti è archiviato su cartelle della mia posta elettronica e/o su cartelle del file system del mio Mac, in accordo con la lettera P del sistema PARA (vedi)

Timeboxing

Questa tecnica consiste nel riservare un intervallo di tempo avendo deciso a priori per cosa si intende utilizzarlo. Utilizzo questa tecnica insieme alla tecnica Pomodoro (vedi)

Timeblocking

Questa tecnica consiste nel riservare un intervallo di tempo senza specificare per cosa lo si utilizzerà. In genere quando ho una giornata di tempo discrezionale a mia disposizione la blocco per evitare che persone richiedano appuntamenti utilizzando Calendly.

Workbeat

Tecnica proposta da Mike Williams in Doing To Done che consiste nell’individuare nel corso della giornata intervalli di tempo caratterizzati da un’intenzione specifica; gli intervalli possono durare cinque minuti, quindici minuti o più di quindici minuti. Ogni intervallo inizia in modo consapevole (IN), prosegue con l’esecuzione di un’attività specifica (DO) e termina con il riconoscimento di aver completato l’attività (WIN)

Interstitial journaling

persona che scrive su un quaderno avendo accanto un macbook

L’Interstitial Journaling (IJ) è stato introdotto da Tony Stubblebine, il CEO di Medium. L’idea di base è molto semplice; invece di tener traccia delle cose da fare con una To-Do List, ne teniamo traccia con un diario, cartaceo o digitale. Si tratta di introdurre nelle nostre routine una piccola abitudine aggiuntiva; ogni volta che cambiamo contesto annotiamo su carta o in modo digitale le seguenti informazioni:

  1. L’orario
  2. Riflessioni sull’attività appena terminata
  3. Riflessioni sulla prossima attività a cui vi dedicherete

Questa idea semplicissima mi sembra geniale, e inizierò ad applicarla oggi stesso. I benefici sembrano numerosi:

  • pianificazione accurata della prossima azione, e del relativo materiale di riferimento
  • registrazione delle lezioni apprese dalle attività precedenti
  • tracking del tempo impiegato in ogni azione
  • tracking del tempo perso per interruzioni e distrazioni
  • consapevolezza dei cambi contesto, ecc…

Per ulteriori approfondimenti potete leggere questo articolo di Ryder Carroll in cui l’autore mostra come incorporare l’Interstitial Journaling nel metodo Bullet Journal, o l’articolo originale di Tony Stubblebine.

Ryder Carroll e il metodo Bullet Journal

Dieci anni fa, l’8 agosto 2013, Ryder Carroll pubblicava il sito web bulletjournal(dot)com, con l’obiettivo di condividere con altre persone il metodo che lui aveva realizzato per superare le difficoltà causate dalla sindrome di deficit di attenzione e iperattività (ADHD).

Il successo del sito ha portato Carroll a pubblicare nel 2018 il suo best seller “Il metodo Bullet Journal”, e in seguito a lanciare la community BuJo U. A differenza dei metodi di cui vi ho parlato nei post precedenti il metodo Bullet Journal si basa soltanto sull’uso di un taccuino e di una penna; la lentezza e la necessità di trascrivere più volte le informazioni non sono viste come un difetto, ma come una “feature” del metodo.

Il metodo prevede la registrazione quotidiana (Rapid Listing) dei nostri pensieri, organizzati in note, task ed eventi. I task non completati in giornata sono trascritti nuovamente nelle giornate successive, dopo che un processo di filtraggio ha eliminato i task meno interessanti. Come accade in altri metodi sono presenti momenti di riflessione periodica a fine settimana e a fine mese. 

I task e le note relativi ad argomenti specifici sono organizzati in raccolte, che possono avere qualsiasi formato. Ad esempio è possibile organizzare i task di un progetto in un formato simile a quello di una kanban board, oppure tenere traccia delle abitudini che vogliamo tenere sotto controllo, dei libri che vogliamo leggere, e così via.

Credo che la migliore definizione di questo metodo sia quella che usa lo stesso Ryder Carroll; un metodo per la mindfulness camuffato da sistema di produttività individuale.

Fate attenzione ai Five Whys…

Un team di persone al lavoro con il metodo 5 Why

Stamani Andrea Giuliodori, l’autore di Efficacemente, ha inviato alla sua newsletter “Pre-365: un anno epico” una email in cui raccomanda di chiedersi per cinque volte il perché del progetto più importante che desideriamo portare avanti. Ryder Carrol, l’autore del metodo Bullet Journal, dice più o meno la stessa cosa nel suo corso online di introduzione al metodo. Ma… perché si usano i cinque perché? Funzionano?

Partiamo dall’inizio; il metodo Five Whys è uno dei due metodi generalmente raccomandati per la RCA, l’analisi della causa radice di un problema (l’altro è il diagramma di Ishikawa). La causa radice è una causa che, una volta rimossa, porta all’eliminazione definitiva del problema.

Si ritiene che il metodo sia stato introdotto da Taichi Ohno, l’ideatore del Toyota Production System, il quale raccomandava ai dirigenti di chiedersi per cinque volte il perché di un problema prima di provare a risolverlo. Il metodo prevede cinque passi, che devono essere eseguiti scrupolosamente:

  1. Identificare il Problema: Definire il problema in modo specifico.
  2. Chiedere il Primo Perché: Porre la domanda “Perché questo problema si è verificato ?” La risposta a questa domanda dovrebbe essere basata su fatti concreti e dovrebbe essere il più diretta possibile.
  3. Proseguire con le Domande Successive: Dopo aver risposto al primo “Perché”, continuare a chiedere il “Perché” di ogni risposta data. Questo processo aiuta a scavare più a fondo nelle cause radice del problema.
  4. Ripetere fino alla Radice del Problema: Continuare a chiedere “Perché” fino a quando non si raggiunge la causa radice del problema o non si stabilisce che la causa radice non è compresa nell’ambito di controllo del team che sta eseguendo l’analisi.
  5. Identificare le Azioni Correttive: Una volta identificata la causa radice, sviluppare un piano di azioni correttive per affrontarla.

Semplice, vero? Purtroppo non è così; nonostante l’analisi della causa radice sia diventata da anni obbligatoria in molti settori industriali la sua adozione non ha portato a miglioramenti osservabili (vedi lo studio citato nei commenti).
E come avviene spesso l’insuccesso – totale o parziale – di un metodo non ha portato a una riflessione approfondita, ma all’introduzione di metodi nuovi destinati a fare la stessa fine.

Lo studio “Five Whys Root Cause System Effectiveness: A Two Factor Quantitative Review” https://digitalcommons.wku.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=4102&context=theses ha invece approfondito il problema, dimostrando che per far funzionare 5 Whys è indispensabile un facilitatore esperto e adeguatamente formato, e che il processo che vi ho descritto sopra deve essere applicato con rigore.

Morale; tutti i metodi sono degli spunti che facilitano il raggiungimento degli obiettivi, non delle soluzioni magiche ai problemi. Se un metodo non ha funzionato per voi cercate di capire il perché prima di sostituirlo con un metodo nuovo…