Il calendario è sacro

Un moderno spazio di lavoro digitale con una persona che gestisce il proprio tempo in modo efficace utilizzando un calendario digitale sullo schermo del computer.

Stando ai dati disponibili in rete solo una persona su tre utilizza sistematicamente il calendario come parte del proprio Sistema di Attenzione e Memorizzazione, sfruttandolo eventualmente solo per registrare gli appuntamenti. È un vero peccato! Rivediamo insieme le best practices (BP) sull’uso di questo strumento. 

  • BP1 – Sul calendario devono essere riportate tutte le azioni che desideriamo svolgere in una data specifica e/o in un orario specifico. 
  • BP2 – Tutte le azioni che desideriamo svolgere ma per cui non abbiamo ancora stabilito una data e/o un orario devono essere registrate in un altro strumento
  • BP3 – A inizio settimana decidiamo quali azioni devono essere inserite nel calendario della settimana, bilanciando i nostri ruoli / valori / aree di responsabilità / goal / etc. Abbiamo cura di lasciare spazio sufficiente per inserire eventuali imprevisti. 
  • BP4 – A inizio giornata decidiamo quali azioni devono essere inserite nel calendario della giornata. Anche in questo caso abbiamo cura di lasciare spazio sufficiente per inserire eventuali imprevisti. Dividiamo la giornata in timebox / work beat per mantenere il controllo.
  • BP5 – Durante la giornata facciamo tutto il possibile per rispettare quanto abbiamo annotato sul calendario.
  • BP6 – A fine giornata valutiamo com’è andata, riflettiamo sugli imprevisti e rischeduliamo quando necessario. 
  • BP7 – A fine settimana valutiamo com’è andata, riflettiamo sugli imprevisti e ripartiamo da BP3

…il tempo deve essere afferrato con due mani e tenuto stretto, altrimenti scappa via!

Un modo diverso di gestire le liste

Anche Carl Pullein, in passato fan sfegatato di GTD® (è la persona che mi ha fatto conoscere il metodo) ha abbandonato le liste basate sui contesti. Nel suo nuovo Time Sector Method i task sono organizzati basandosi sulla data di scadenza:

  • – task della settimana in corso (che poi giornalmente vengono spostati sul calendario)
  • – task della prossima settimana
  • – task del mese in corso
  • – task del prossimo mese
  • – task di lungo periodo

Mi ha colpito il fatto che si tratta pressappoco dello stesso sistema utilizzato nel metodo Bullet Journal, che sto applicando con successo da poco più di un anno. Nel Bullet Journal abbiamo infatti:

  • – Diario del futuro
  • – Diario del mese
  • – Diario giornaliero

che implementano più o meno lo stesso descritto da Pullein.

Pullein ha abolito nel suo sistema il concetto di progetto, trovandolo inutile. Nel libro “Il Metodo Bullet Journal” Ryder Carroll suggerisce invece di trattare i progetti esattamente come i task, suddividendoli poi in task più piccoli in ogni mese / settimana / giorno.

Gratitude list

La compilazione di una “Gratitude List” è una delle pratiche più diffuse tra gli appassionati di efficacia personale. Alcune persone trovano questa pratica estremamente efficace, altri (a volte anche io, vi confesso) la trovano un semplice esercizio intellettuale, senza impatto emotivo.

Sul blog TED Works – The Empowerment Dynamic ho trovato la descrizione di un nuovo modo per creare una “Gratitude List” che può aiutarci a risolvere il problema. Eccolo di seguito:

1- Fermatevi un attimo e fate alcuni respiri profondi. Ora create un elenco di persone, cose e circostanze per le quali siete grati. Apprezzate pienamente la loro presenza nella vostra vita.

2- Immaginate che tutto ciò che avete appena inserito nel vostro elenco di gratitudine sia improvvisamente scomparso. Immaginatevi senza le persone e le situazioni per le quali avete ringraziato solo un momento prima. Rimanete seduti con questa nuova esperienza per alcuni minuti e percepite la perdita emotiva. Ora scrivete alcune frasi o parole su come sarebbe la vostra vita senza ciò che avete inserito nell’elenco della gratitudine.

Secondo gli autori questo nuovo approccio può portarci più facilmente in uno “stato di gratitudine”, un’esperienza in grado di coinvolgere sia la nostra mente che le nostre emozioni. Fatemi sapere cosa ne pensate!

Checklist di fine giornata

una casa-ufficio accogliente all'imbrunire con un'atmosfera calda e stimolante. Una grande scrivania rustica in legno domina la stanza.

I miei amici di Next Action Associates – il più grande distributore di formazione GTD® del mondo – hanno pubblicato nella loro newsletter questa doppia checklist per la chiusura della giornata lavorativa e l’avvio delle attività personali.

La riporto qui così come l’hanno pubblicata loro (a parte la traduzione in italiano), sperando che possa esservi utile.

Parte I – chiusura della giornata lavorativa

  • Esegui un Mind Sweep GTD® per catturare tutto quello che ancora ti ronza in testa
  • Dai un’ultima scansione “di emergenza” alle email
  • Disattiva tutti i sistemi di invio di notifiche collegate al lavoro
  • Controlla il calendario di domani
  • Metti in ordine la scrivania

Parte II – avvio delle attività personali

  • Attiva le abitudini / routine di fine giornata (meditazione, palestra, corsa, passeggiata con il cane…)
  • Controlla i “punti di raccolta” personali
  • Attiva le liste prossime azioni per i ruoli che ricopri nella tua vita personale

Può essere utile inserire nella parte II della checklist delle liste di azioni destinate a introdurre un po’ di varietà e di divertimento nel tuo mondo (ricette da preparare, ristoranti da visitare, film da vedere….)

A questo punto non ci resta che augurare a tutti i colleghi Otsukaresama deshita, ovvero… grazie per il vostro duro lavoro.

Come far crescere il Growth Mindset

Il concetto di Growth Mindset è stato recentemente introdotto dalla psicologa Carol Dweck e ha in parte rivoluzionato il nostro modo di intendere la motivazione personale.

Partiamo dall’inizio; in psicologia si chiama mindset “una cornice mentale o una lente che organizza e codifica selettivamente le informazioni”. In termini semplici si tratta di una serie di storie che raccontiamo a noi stessi su come funziona il mondo, spesso senza accorgercene.

Le persone dotate di Fixed Mindset raccontano a se stesse di essere dotate (o non essere dotate) di specifiche qualità, come ad esempio “sono un pessimo giocatore di scacchi” (esempio autobiografico) o “ho una buona memoria”.

Le persone che hanno Growth Mindset raccontano a sé stesse di poter raggiungere praticamente qualsiasi obiettivo, ad esempio “posso imparare a giocare a scacchi se mi impegno” o “posso migliorare la mia memoria”.

Le persone dotate di Fixed Mindset si sentono colpite nel proprio ego tutte le volte che commettono un errore e provano forti sentimenti negativi; le persone dotate di Growth Mindset, invece, provano sentimenti molto meno forti, e preferiscono dirigere la propria attenzione verso la causa dell’errore, per fare meglio la prossima volta.

È stato dimostrato che non si tratta di un effetto puramente psicologico, ma ha basi neurologiche, dipendenti da come il nostro cervello è stato “cablato”. Tutti noi sperimentiamo Fixed Mindset, almeno in alcune circostanze.

Tutto questo sarebbe già abbastanza interessante, ma una serie di esperimenti ha mostrato che è possibile indurre la Fixed Mindset negli individui fornendo loro dei feedback specifici sulle loro capacità, come ad esempio “Quanto sei intelligente!”.

Gli individui che ricevono o che si fanno da soli complimenti di questo tipo tendono a ridurre il loro impegno, non ad aumentarlo. Per indurre nelle persone una Growth Mindset è invece necessario fornire dei feedback specifici sullo sforzo che hanno compiuto, come ad esempio “Hai studiato davvero molto”. Verbi, non aggettivi!

La mappa della fiducia

Vi ricordate la mappa GTD-Q, quella in cui David Allen analizza il rapporto tra controllo e prospettiva, definendo i quattro quadranti vittima, micro-manager, crazy maker e Captain e Commander? Beh, negli ultimi giorni mi sono imbattuto nella “Confidence Map”, un modello sviluppato da Peter Atwater, ricercatore dell’università del Delaware, che sembra la versione 2.0 della mappa GTD-Q.

Atwater definisce la fiducia (confidence) come la presenza contemporanea di certezza e controllo; la certezza è definita come la consapevolezza di ciò che sta per accadere, mentre il controllo è definito come la nostra capacità di intervento in una specifica situazione. I quattro quadranti della matrice descrivono quattro realtà diverse, caratterizzate da comportamenti e culture diverse.

Partiamo da Stress Center, il quadrante caratterizzato da bassa certezza e basso controllo; si tratta di un luogo virtuale in cui individui, aziende o clienti possono trovarsi all’improvviso e senza alcuna preparazione. È lo stato in cui ci siamo trovati durante la pandemia COVID. Chi si trova nello Stress Center vuole uscirne al più presto possibile, e per farlo in genere si affida a un leader che promette di risolvere il problema. In questo modo manteniamo un basso livello di controllo, ma otteniamo maggiore certezza, e finiamo nel quadrante “Passenger Seat”.

Il quadrante “Passenger Seat” è pericoloso, perché sia nelle organizzazioni che nella politica tende a far emergere leader autoritari che si mettono “al volante”. Per questo motivo a un certo punto le persone nel “Passenger Seat” iniziano a sentirsi prigioniere, e possono decidere di barattare la sicurezza con il controllo facendo un salto nel quadrante “Launch Pad”.

Il quadrante Launch Pad è quello in cui sono finito – e in cui sono tuttora – quando ho iniziato a lavorare in E-quality Italia.

Come si fa, allora, a raggiungere il quadrante “Comfort Zone”? Le strade sono due; fare un sacco di pratica per aumentare la propria sicurezza, o chiedere aiuto a chi ne sa più di noi. Ma attenzione, perché questo quadrante rischia di indebolire il nostro spirito critico ed esporci ad errori…

E voi in quale quadrante vi trovate oggi?

Tiago Forte, ma cosa dici?

Visualizza-la-differenza-tra-la-memoria-di-lavoro-e-la-memoria-a-lungo-termine-negli-esseri-umani.

Oggi ho letto due brani di Tiago Forte che decisamente non condivido. Ecco il primo (originale in inglese, traduzione mia).

Ho preso in mano Getting Things Done di David Allen dopo averlo visto sulla libreria di un amico. In una delle prime pagine ho trovato una citazione che ha cambiato la mia vita: “La tua mente è fatta per avere idee, non per trattenerle”.
Una volta che l’ho capita, mi sono reso conto che era l’esatto contrario di tutto ciò che mi era stato insegnato. La scuola mi aveva insegnato a memorizzare fatti e a rigurgitarli a comando (….) Questa citazione mi ha insegnato un nuovo modo di vedere il mio cervello: come generatore di nuovi pensieri e idee, lasciando a qualcun altro il compito di conservarli.

Tiago Forte

Si tratta di un errore di interpretazione grossolano. Quando David Allen parla di mente sta parlando della nostra memoria di lavoro, non della nostra memoria di lungo termine. La nostra memoria di lavoro, come abbiamo detto più volte, riesce a trattenere pochi concetti per volta, e se la usiamo per le preoccupazioni e i pensieri ricorrenti non ne resta più per le attività più importanti. La nostra memoria di lungo termine, invece, ha una capacità pressoché illimitata, e noi non saremmo capaci di “generare nuovi pensieri e idee” se la nostra memoria non fosse piena dei concetti che abbiamo acquisito nel tempo. Sono sicuro che Tiago Forte non crede davvero in quello che scrive.

Il secondo brano è tratto dal libro “The PARA method”. Come al solito la traduzione è mia, il libro per ora è solo in inglese.

“Per decenni ci siamo chiamati “Knowledge Worker”, basandoci sul fatto che la conoscenza era la nostra risorsa principale. A più di sessant’anni dalla nascita di questo termine, l’era dei knowledge worker sta finalmente volgendo al termine. La conoscenza è diventata una commodity ed è stata resa universalmente accessibile, prima attraverso i motori di ricerca e ora grazie a un’intelligenza artificiale sempre più avanzata. Ciò significa che non c’è più alcun vantaggio nel conoscere un particolare pezzo di conoscenza. Stiamo entrando nell’era del lavoratore della saggezza.”

The PARA method, Tiago Forte

Ecco cosa c’è che non va:

1 – Ci chiamiamo Knowledge Worker perché utilizziamo la nostra conoscenza per produrre nuove informazioni o per aumentare la qualità delle informazioni esistenti, non perché la conoscenza è la nostra risorsa principale.

2 – Non è vero che la conoscenza è diventata una commodity, è l’informazione a essere diventata una commodity, e neanche sempre. Tra le due passa una differenza enorme; l’informazione è un dato registrato su un supporto, mentre la conoscenza rappresenta il sapere come agire in un determinato contesto.

Io conosco l’informazione E=mc2, ma non ho la minima idea di che cosa posso farci. In generale se non ho in testa una struttura di concetti a cui agganciare le informazioni che ricevo queste ultime sono del tutto inutili. E di conseguenza non è vero che possedere la conoscenza non fornisce alcun vantaggio.

Information Overload

Una-rappresentazione-artistica-del-concetto-di-sovraccarico-informativo-in-cui-una-persona-e-seduta-davanti-a-un-computer-con-lo-sguardo-sopraffatto

Iniziamo con una definizione e un problema; l’Information Overload è la differenza tra le informazioni effettivamente disponibili e le informazioni che possiamo processare. Il problema è che secondo molti autori l’Information Overload genera stress, ansia, senso di sopraffazione.

La prima argomentazione arriva da Clay Shirky; ci sono sempre state più informazioni di quelle che siamo in grado di processare, e nessuno si è mai sentito stressato dal fatto che le biblioteche fossero piene di libri non letti. Il problema è che i nostri filtri non funzionano, e quindi siamo inondati da informazioni irrilevanti, nel mezzo delle quali si nascondono le informazioni utili; il vecchio problema dell’ago nel pagliaio.

La seconda argomentazione arriva da Nicholas Carr, ed è stata appena ripresa da Oliver Burkeman, l’autore di Four Thousand Weeks. Secondo Carr e Burkeman i nostri filtri funzionano fin troppo bene, e quindi siamo inondati da troppe informazioni utili. Non si tratta di cercare un ago in un pagliaio, ma di avere un mucchio di aghi delle dimensioni di un pagliaio. L’unica soluzione è rassegnarsi, non riusciremo mai a catturare tutte le informazioni interessanti.

Una terza argomentazione meno diffusa sul Web e che però mi ha fatto pensare arriva da A.J. Marr; l’Information Overload di fatto non esiste. Non siamo inondati da informazioni utili, ma di informazioni accuratamente progettate per suscitare la nostra curiosità, soprattutto facendo leva sul concetto di “novità” che cattura la nostra attenzione. Se ci limitassimo a catturare le informazioni che ci servono l’Information Overload scomparirebbe di botto.

Cosa ne pensate? Questo tema, apparentemente astratto, ha una ripercussione importante sui nostri sistemi di produttività individuale; cosa dobbiamo catturare e cosa dobbiamo lasciar perdere?

Worry time technique

un'immagine che provoca pensieri e serenità e che racchiude il concetto di mettere da parte un tempo specifico per le preoccupazioni, noto come Worry Time.

Perché ci preoccupiamo? È semplice; la preoccupazione consente di creare in mente uno scenario che possiamo controllare, e questo riduce l’ansia dovuta al fatto che la realtà non può essere controllata.

Può essere utile applicare la tecnica “Worry Time”, ovvero decidere di dedicare alle preoccupazioni un momento specifico della giornata.

Quando ci accorgiamo che la nostra mente è stata catturata da una preoccupazione possiamo dire a noi stessi “Non adesso; a questo penserò oggi pomeriggio alle 18”. Ed ecco che le 18 sono diventate l’unico momento della giornata per preoccuparsi; Worry Time, appunto.

Accountability fallacy

una scena calda e incoraggiante in cui due persone sono sedute una di fronte all'altra su un piccolo tavolo accogliente.

Uno dei trucchi di produttività più diffusi suggerisce di annunciare pubblicamente gli obiettivi che si vogliono raggiungere, in genere pubblicandoli sui social media.

Chi propone questo metodo sostiene che così facendo saremo adeguatamente motivati a raggiungere gli obiettivi che abbiamo annunciato, per evitare figuracce. Secondo Andrew Huberman, il neuroscenziato autore del popolarissimo podcast “Huberman Lab” questo metodo semplicemente… non funziona.

Il motivo è semplice; in genere dopo aver annunciato i nostri obiettivi le persone che ci seguono sui social ci mostrano il loro sostegno, e questo sostegno è sufficiente a soddisfare il nostro bisogno di approvazione, riducendo di fatto la probabilità che l’obiettivo venga raggiunto.

Huberman suggerisce invece di applicare la tecnica dell’accountability buddy; in questa tecnica una persona di nostra fiducia si limita a chiederci di tanto in tanto a che punto siamo arrivati con il nostro obiettivo, senza commentare i risultati.